DL energia, la Regione: sudditanza e repressione del dissenso

La Sardegna non si farà più calpestare ma gestirà la propria transizione ecologica ed energetica, così si legge nel comunicato diffuso dalla Regione Autonoma della Sardegna che annuncia l’approvazione da parte del Consiglio Regionale del Decreto Legge n. 45 con oggetto Disposizioni per l’individuazione di aree e superfici idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili.

Un testo che rappresenta pienamente la vera natura dell’autonomismo che non è quella di governare con lungimiranza nell’interesse del popolo sardo bensì di gestire, di amministrare gli interessi statali in Sardegna. D’altronde, come abbiamo già avuto modo di dire durante le mobilitazioni popolari, il problema che impedisce di risolvere a nostro favore la questione energetica, sono i partiti italiani in Sardegna: l’autonomismo al governo della nostra terra, sempre di matrice profondamente unionista, non conosce e non riconosce il concetto di nazione sarda e, di conseguenza, agisce per gestire in loco le imposizioni italiane.

Questo disegno di legge, descritto come avanguardia a livello italiano, è totalmente privo di sovranità politica, di gestione pubblica nell’interesse collettivo, di legittimazione popolare. Perchè, per quanto lo si voglia far credere, non mette in discussione il tetto minimo di 6,5 Gigawatt di produzione energetica che lo Stato italiano ha imposto alla Sardegna: cioè il vero aspetto coloniale dell’affaire energia. Questo Decreto Legge di fatto non ha il potere di bloccare i progetti che sono già stati autorizzati, anche nel caso in cui non ricadano all’interno delle aree idonee.

Si tratta di un disegno di legge coloniale perché i principi che lo animano non vanno verso la strutturazione dell’indipendenza energetica della nostra terra. Non è infatti la Regione a dettare le regole facendo un calcolo di quanta energia la Sardegna debba effettivamente produrre per soddisfare il proprio fabbisogno energetico. Il nostro piano energetico dovrebbe regolamentare in questo senso la produzione, individuando le aree idonee per l’installazione di impianti che producono energia a beneficio della Sardegna e, soprattutto, stabilendo un tetto massimo di produzione.

Ricordiamo che oltretutto la Giunta Regionale sta operando senza legittimazione popolare in quanto non tiene conto della volontà di oltre duecentomila sardi, cittadini, associazioni, amministratori, comitati i quali – usando l’unico strumento democratico e nonviolento a disposizione cioè  quello di firmare la Legge Pratobello – hanno sottoscritto per bocciare questo modus operandi che impone decisioni calate dall’alto e dall’esterno. Questo è il vero dato politico, e non lo si può ignorare. A prescindere dal giudizio sulla proposta di legge in sé.

Inoltre non possiamo dimenticare che i Consiglieri Regionali attuali sono stati eletti con una legge totalmente antidemocratica che impedisce rappresentanza a decine di migliaia di elettori e a molte forze politiche. La democrazia nasce per regolare il conflitto sociale e la competizione elettorale, contro il monopensiero. Non riconoscere il conflitto, tentare di anestetizzarlo o di sedarlo con atti repressivi,  uccide il pluralismo. Chi non è rappresentato e chi legittimamente si oppone a decisioni ingiuste non ha più interlocutori istituzionali, addirittura si ritrova a interfacciarsi con le forze dell’ordine inviate da coloro i quali, asserragliati nel palazzo, si riempiono la bocca di democrazia.

Questo tipo di atteggiamento istituzionale è molto poco responsabile, per nulla lungimirante e tutt’altro che democratico. Il clima che si viene a creare è quello nel quale l’avversario politico viene criminalizzato e percepito dalla massa come delinquente, come facinoroso. Le immagini dei presidi popolari assediati dalle forze dell’ordine in tenuta antisommossa fanno il loro sottile ma pervasivo lavoro.

Se i partiti italiani al potere della Regione avessero davvero a cuore l’interesse nazionale sardo, forti dell’appoggio popolare su questo tema, avrebbero potuto mettersi a capofila di una battaglia di dignità aprendo un rapporto di forza con lo Stato italiano, per andare a ridiscutere i termini della transizione energetica. Ma anche in questo caso l’autonomismo unionista ha preferito obbedire non ratificando il conflitto con lo Stato italiano, abbassare la testa e  tentare di sedarlo nel peggiore dei modi. Ma la storia ci insegna che è proprio attraverso la sapiente gestione dei conflitti che le società crescono, che i diritti si conquistano. Ed è per questo che il conflitto nella democrazia è riconosciuto. Solo il fascismo ha una visione della società senza conflitti, dove c’è chi comanda e chi obbedisce, dove bisogna semplicemente affidarsi al più forte. E la classe politica dei partiti italiani al potere in Sardegna applica la legge del più forte col proprio stesso popolo mentre abbassa la testa con lo Stato. Cercando peraltro di far credere il contrario.

Repùblica, 09/12/2024